Gambini | Dopo l'aeroporto anche Rimini Fiera verso il sistema regionale?
Con la recente presa di posizione del Ministro Lupi credo vada considerata chiusa la possibilità di ricercare, seppur tardivamente, un partner industriale per la privatizzazione e la salvezza del nostro aeroporto. Forse davvero non c’è altra strada, a questo punto, che sposare la filosofia dirigista del “fare sistema”, salvare il salvabile e divenire una delle piste dell’aeroporto di Bologna che deciderà quando e come utilizzarci.
Senza alcuna sponda politica, in palese contrasto con gli interessi dei creditori, con una gara necessariamente in mano all’Enac, come era facile prevedere, l’attivismo del curatore fallimentare manifesta tutto il velleitarismo che ha avuto fin dall’inizio. Se mai ancora vi fossero interlocutori imprenditoriali interessati, le parole del Ministro delle Infrastrutture, che richiamano quelle del Presidente Errani, chiudono la porta ad una scelta di mercato e di concorrenza, per consegnare le sorti del Fellini nelle mani della politica regionale e della pianificazione di sistema.
Non era scontato che finisse così, la mazzata conclusiva, è vero, è venuta dalla decisione del Tribunale di rifiutare il concordato e di imporre il fallimento, ma le ragioni di fondo vanno ricercate nella pessima gestione pubblica di questi anni, nell’ostinato rifiuto che gli enti locali riminesi hanno frapposto per tanto tempo alla privatizzazione ed infine nella vocazione consociativa delle associazioni imprenditoriali che hanno sempre avvallato sia le scelte di politica industriale che la gestione quotidiana. Occasioni per cambiare strada, nel corso degli anni ed anche nei mesi precedenti all’intervento della magistratura, ve ne sono state numerose, ma si è continuato come soggiogati da una forza di inerzia politica a coltivare il disastro.
Richiamo queste responsabilità perché sono tra coloro che avevano lanciato l’allarme sui conti in rosso quando era già facile constatare, a chi avesse voluto vedere, una situazione decisamente critica. Insomma anche coloro che non considerano la privatizzazione delle partecipate una opzione strategica, ma una pillola amara da ingoiare perchè si hanno le spalle al muro, avrebbero potuto e dovuto muoversi già dal 2011 per preparare un esito diverso da quello al quale stiamo assistendo oggi del tutto impotenti. Basta pensare a tutti mesi che sono stati persi prima di accettare la proposta di conversione dei crediti in partecipazioni azionarie avanzata dai principali creditori.
Adesso ci risiamo, sì perché la vicenda del polo fieristico congressuale comincia ad assomigliare troppo a quella del Fellini, nella sua preparazione tre anni prima del default. Oggi sulla fiera, come allora sull’aeroporto, da Bologna arrivano gli appelli a “fare sistema” e a bandire ogni scenario concorrenziale. Sono forti della convinzione che, essendo noi incapaci di intraprendere la scelta del mercato, finiremo per logorare il nostro polo fieristico congressuale e consegnare al capoluogo un altro gioiello dopo averlo sciaguratamente svalutato. Eppure dovrebbe essere tutto chiaro.
I conti sono quelli che sono ed anche le previsioni più ottimistiche sui proventi della gestione non consentono di immaginare la capacità di fare fronte all’indebitamento. Nello stesso tempo è ormai più che evidente che le finanze pubbliche locali non sono assolutamente in grado di sostenere l’investimento realizzato. Non occorre recriminare sulle scelte compiute a suo tempo (anche se ve ne sarebbe motivo) per rendersi conto che così non si può andare avanti. Anche la leva della valorizzazione immobiliare che può dare un’importante boccata d’ossigeno nel breve, appare semplicemente destinata a rinviare il problema al massimo di un paio d’anni. Comprare tempo può anche essere utile, ma bisogna valutare la reale convenienza dei costi di impatto urbano che si affrontano e soprattutto occorre sapere che uso si vuole fare del tempo così acquistato.
Dalle diverse prese di posizione dei protagonisti istituzionali che si sono susseguite in queste settimane si percepisce una situazione di stallo. Si intravedono due linee decisamente divergenti, ma la discussione, al di là delle esternazioni dei rappresentanti delle opposizioni, se si guarda a coloro che possono decidere davvero, non riesce a decollare e ad imprimere quella energia politica che serve per fare le scelte forti necessarie.
La posizione più chiara è quella del presidente Cagnoni che continua a credere nella sostenibilità dell’investimento compiuto. A lui serve comprare tempo in attesa degli utili che verranno. E’ qui che il parallelismo con l’aeroporto diventa più inquietante, perché sembra oggi di riascoltare le parole di Massimo Masini nel 2012. Lorenzo Cagnoni non è Masini, è il miglior manager pubblico che si sia affacciato sulla scena riminese negli ultimi decenni, sono tuttavia i conti che remano in una direzione opposta alla prospettiva che sostiene con tanta convinzione. Purtroppo sono le previsioni errate di ieri che ci hanno gettato in questa situazione. Quali garanzie abbiamo che quelle di oggi siano davvero attendibili? Non escono forse dalla stessa cucina professionale che aveva scodellato le precedenti, senza neanche una scusa ed un cenno di ripensamento critico? Non è più probabile che siano il frutto della incapacità, per chi si è identificato con quelle scelte, di tagliare con il passato e di cambiare strategia?
Su un altro versante abbiamo ascoltato soprattutto dei tecnici indicare la strada della privatizzazione come la prospettiva alla quale occorre avere tempo di lavorare per salvare gli investimenti compiuti. Prima Maurizio Temeroli, segretario generale della Camera di Commercio, più recentemente Umberto Lago, amministratore di Rimini Holding. Non credo che si siano espressi a titolo personale, anche se da buoni tecnici hanno senz’altro più consapevolezza di altri delle spiacevoli conseguenze, anche personali, che un default potrebbe produrre. La domanda è però: quando la politica che conta si deciderà a rompere il silenzio e a fornire l’indispensabile sostegno politico alla strada indicata dai tecnici? Se si compra tempo soltanto per gestire e mediare i contrasti politici siamo fuori strada.
Non si avvia un percorso di privatizzazione, il più grande intrapreso nella nostra regione (sì perché l’operazione Hera non è stata una vera privatizzazione), così, a mezza bocca, per giunta con il management della società da privatizzare fieramente contrario e di cui è intuibile una scarsa propensione a collaborare a quel percorso. Ammesso che esistano grandi operatori internazionali interessati a Rimini Fiera, non credo potrà bastare per farli impegnare nell’investimento, la serietà dell’advisor. Pretenderanno di vederci chiaro non solo nei conti, ma anche nella volontà della comunità locale e della struttura esistente (che sono gli uomini e non i muri) di iniziare una nuova grande avventura imprenditoriale. Vorranno capire da subito se a Rimini interessa avere una fiera ed un congressuale di profilo internazionale, che funzionano e che producono ricchezza per la nuova impresa e per l’economia locale o se il problema è solo quello di fare una mossa senza reali conseguenze, che possa costituire una copertura ed un alibi più o meno solidi, in vista di eventuali fallimenti e dissesti prossimi venturi. Anche la questione del valore dell’operazione di cui si è iniziato a “sparlare” (una svendita mai! Si impancano coloro che prima hanno ingessato e poi dissipato la ricchezza pubblica) a ben guardare ha a che fare con questo quesito.
Senza un indirizzo preciso e vincolante sui vari aspetti della gara, pubblicamente e solennemente assunto dal Consiglio Comunale di Rimini e da quello della Camera di Commercio (la Provincia è purtroppo ormai fuori gioco), con il Sindaco di Rimini che ci mette davvero la faccia e l’imprenditoria riminese tutto il proprio prestigio e non i piccoli interessi di bottega, la “privatizzazione dei tecnici” è destinata a dare ragione a chi non ci crede e a regalare a Bologna l’ennesimo salvataggio “di sistema”.
Sergio Gambini